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martedì 9 febbraio 2010

Fumetto: BACCHUS di Eddie Campbell

Torna Mindtheclosure con BACCHUS. Sceneggiatura e disegni di Eddie Campbell. Bacchus è un dio ormai alla fine della corsa, vecchio, rugoso, guercio, stanco. Gira con i suoi amici, racconta storie, si ubriaca, vive avventure che spaziano da quella straordinaria a quella più comune. Niente di più. Bacchus è il punto di svolta della produzione fumettistica di Eddie Campbell, oltre ad esserne il massimo e forse unico momento metafisico. Giunto da un personaggio come Alec e in attesa di dare vita al Sir William Gull mooriano di From Hell, che può venire considerato come il gradino (benché cronologicamente successivo) dal quotidiano al metafisico all’interno di quanto fino ad allora narrato dall’autore scozzese, Bacchus proviene dalla volontà di una svolta cosmica del quotidiano.A detta dello stesso Campbell, Bacchus nasce da una necessità ben concreta: fare soldi; necessità insoddisfatta, oltretutto, che si concretizzerà solo con From Hell, il cui successo tirerà in barca tutto quello realizzato in precedenza, tra cui lo stesso Bacchus. Campbell aveva ben compreso già negli anni Ottanta che, per quanto buono potesse essere una storia a fumetti basata esclusivamente sulla quotidianità, l’eccesso di biografiamo e l’assenza di un filtro, avrebbe squalificato di molto la storia, ostacolandone i due principali risultati: 1. attirare lettori per 2. poter far guadagnare al suo autore un mucchio di soldi. Per fare questo ecco quindi che l’autore puntò a qualcosa di più grande, cosmico e mitologico. Estrasse così dal cilindro un micropantheon di divinità e semidei, nel concreto Bacco, Ermes, Teseo e il bizzarro Joe Pupilla, individuo deforme dalle molteplici paia di occhi, colpevole di aver ucciso Zeus dopo averlo privato del suo controllo sulle saette. Benché una serie di racconti brevi non manchi di farci conoscere e di mettere in scena le altre divinità greco-romane, Bacchus ruota attorno a queste figure, riducendo l’aspetto divino esperibile al dio della baldoria e al messaggero/guerrigliero degli dei, cui si aggiungono un avventuriero e uno squilibrato assassino. Così facendo, Campbell compie qualcosa di narrativamente molto potente, sbattendo in faccia al mondo occidentale un concreto vuoto valoriale. Causa di questo vuoto è il disfacimento della società che, come vuole Eric Hobsbawm, parte dal crollo economico del ’73 – e portando sulle spalle tutte le problematiche socio storiche, economiche e culturali provenienti dalla situazione storica preesistente – non trova mai una vera e propria risoluzione, continuando a precipitare su se stessa.Il fatto che le uniche due divinità disponibili siano legate, tutto sommato, a dissoluzione e violenza, sembrerebbe voler indicare che queste sono le uniche due cose cui la società moderna sceglie di essere devota; ovviamente qualcuno potrebbe etichettare tutto ciò come una semplice teoria campata per aria… certo è che spesso certi processi poietici della narrazione non sono nemmeno totalmente volontari.Eppure dovendo scegliere due dei da “salvare” Campbell opta per quelli più concreti e “quotidianizzabili”, creando così una commistione di quotidiano e straordinario, banale ed eccezionale, che si rifletterà nel fumetto angloamericano per gli anni a venire, si pensi tra tutti al Sandman di Neil Gaiman o, in modo traslato ma forse ancora più evidente, al Preacher di Garth Ennis, laddove dissoluzioni di ogni tipo sono trapiantate su materiali teologici di matrice cristiana.Due parole meritano di essere spese sullo stile grafico dell’autore, uno stile grezzo, all’apparenza poco curato ma che nasconde al di sotto le vere potenzialità dell’autore. Accosta un tratto accurato a uno più sporco, quasi disinteressato al risultato eppure, al contempo, interessato all’idea che il risultato possa apparire come qualcosa di disinteressato. Campbell, il cui stile si dimostra in grado di variare da opera a opera, agli esordi è il tipico stile da comic books inglese. Quello, per dire, che si può trovare negli autori Vertigo della prima ora, come John Ridgway, John Totleben o Stephen Bissette; autori che arrivano al fumetto passando per l’immaginario delle riviste illustrate inglesi, o per le incisioni, il cui potenziale si esprime massimamente nel bianco e nero, e non nel colore; che è poi il problema per cui, ad esempio, le tavole di Hellblazer realizzate da Ridgway risultano mortalmente noiose, sbattute e appiattite da una colorazione che ne ammazza le trame. Allo stesso modo Campbell riesce, con pochi tratti di penna, a dare spessore e senso di completezza alla figura, semplificando uno stile pittorico (di cui peraltro dimostra di riuscire a padroneggiare con gran maestria sulle pagine di The Black Diamond Detective Agency) così da farlo rientrare all’interno del circuito della sequenzialità.