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mercoledì 26 dicembre 2012

Scrittura creativa: Matteo Righetto



Il problema è serio e ormai non rappresenta certo una novità. Come hanno evidenziato anche le analisi di Antonio Prudenzano su Affaritaliani.it, cifre alla mano, in Italia si legge sempre di meno e i lettori (di ogni fascia d’età e di ogni estrazione sociale e categoria professionale) diminuiscono sensibilmente di anno in anno. Già rispetto al 2010, nell’anno successivo si sono “volatilizzati” più di 700mila lettori e nel corso di questo 2012 le cose sono addirittura peggiorate.
Se infatti lo scorso anno lo stato dell’editoria in Italia è entrato ufficialmente in crisi, i dati Nielsen elaborati per conto dell’AIE (Associazione Italiana Editori) e relativi ai primi nove mesi del 2012, ci dipingono uno scenario ancora più sconfortante (crescono un pochino solo gli e-book mentre tengono la fiction straniera e il genere young adults).
In generale si comprano meno libri e se ne leggono meno ancora. Tanto drammatici quanto emblematici i dati che indicano ad esempio gli studenti universitari come lettori debolissimi quando fino a qualche anno fa rappresentavano una roccaforte del consumo librario.
Di fatto quasi tutte le analisi e gli approfondimenti che mirano a far luce su questo problema, tendono puntualmente a far coincidere le cause della crisi dell’editoria con quelle della crisi economica. Posto che sarebbe ridicolo negarne la reale incidenza e correlazione, mi sia consentito di dubitare che tali cause siano da ricercarsi soltanto in seno ad essa e da porre in relazione quasi esclusivamente alla minore disponibilità di quattrini. Credo infatti che dietro al tracollo del libro vi siano ben altri problemi di pari se non di più grave rilevanza.
Certo, la crisi economica c’è e si sente quasi ovunque, così come da sempre le crisi economiche e quelle culturali sono specchio l’una dell’altra, ma sono convinto, appunto, che il mondo del libro e per così dire il “consumo” di letteratura risentano negativamente di una serie complessa di ragioni che vanno oltre quella del portafoglio, e alle quali Agorà Twain dedicherà prossimamente degli autorevoli approfondimenti e dei dibattiti (ai quali siete fin d’ora invitati a partecipare).
Si sta facendo sempre più tardi, è vero, tuttavia analizzare i dati per piangersi addosso e fare le geremiadi non serve a niente e a nessuno; ciò che conta è la necessità di ripartire dalle idee e dalle proposte, con ottimismo. Gli ultimissimi dati infatti ci dicono che non tutto è perduto, prova ne è che già nel mese di settembre si è registrata una leggera controtendenza e a partire da ottobre si è rilevata una piccolissima ripresa, che è arrivata a segnare un -7,5% a valore: un segno meno ancora forte, certamente, ma che indica comunque un progressivo recupero se si considera che a fine marzo il mercato segnava un drammatico -11,7% e sul finire dell’estate un -8,7%.
Infine il dato del corrente dicembre che, con l’avvicinarsi del Natale ci conforta con un +4% di vendite di libri rispetto all’anno precedente nello stesso periodo. Quest’anno a Natale si regalano più libri.
Pare dunque che qualche spiraglio ci sia. Che fare, però, senza una reale progettualità, una seria visione culturale del Paese e delle scelte politiche volte a promuovere la lettura in maniera strutturata e continuativa? Perché, parliamoci chiaro, di questo si tratta, mica di scambiarsi i doni un giorno all’anno davanti al presepio.
A questo proposito Marco Polillo, presidente dell’AIE, chiede meno parole e più fatti, a cominciare dalla richiesta di un abbassamento dell’IVA sugli e-book dal 21% al 4%, ma soprattutto chiede più attenzione politica al ruolo di operatori culturali svolto dagli editori, al fine di stimolare una ripartenza per le case editrici e rimettendo così in moto il mondo della lettura. Se però ci limitiamo soltanto a questo, pensando che le sole agevolazioni fiscali possano rimettere in moto un intero settore industriale e culturale, credo che rischiamo di non centrare il vero problema, che è genuinamente culturale, prima che economico. Dal canto suo Paolo Peluffo, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’editoria si dice convinto della necessità di:
«portare i libri nelle scuole, nelle famiglie e in tutti i luoghi di ritrovo delle persone”, promettendo una task force governativa sul libro, “un gruppo di lavoro interministeriale che adotti tutti le misure necessarie a sostenere e promuovere la lettura, nella scuola e nelle università, innanzitutto».
Ecco, questa a mio modo di intendere è una proposta valida dalla quale ripartire. Esattamente questo è ciò di cui si sente il maggiore bisogno. Insomma, finalmente qualcosa si muove (anche se ancora a parole). Va da sé che a queste dichiarazioni d’intenti debbano però seguire iniziative concrete sì dall’alto, questo è evidente, ma attenzione, anche dal basso!
E questo è il punto. Noi italiani siamo fatti così: aspettiamo sempre che i problemi vengano risolti da qualcun altro e quando questi affliggono la collettività, tendiamo a pensare che ci riguardino fino a un certo punto. Al contrario io sono fermamente convinto che, senza aspettare dall’alto soluzioni che forsechissà se e chissà quando arriveranno, tutti noi possiamo e dobbiamo fare qualcosa se teniamo per davvero a questo tema cruciale per il futuro del Paese.
Sono dunque convinto che se l’establishment culturale italiano, la politica, gli editori, le famiglie, ma permettetemi di dirlo, anche e soprattutto noi docenti di lettere e noi scrittori, non ci renderemo subito conto che è fondamentale ricominciare concretamente e da oggi a promuovere la lettura a partire dai più giovani, allora davvero rischieremo di perdere tutto e precipitare in un baratro senza possibilità di scampo. Un baratro dove non finirebbero per cadere soltanto gli editori, gli scrittori, i traduttori, gli agenti letterari et cetera; bensì un orrido in fondo al quale si schianterebbe inesorabilmente l’intera società civile.
Sono certo quindi che la soluzione più lungimirante, efficace e immediata sia quella per cui si riconosca in prima istanza la scuola come luogo deputato per la rinascita del libro, dove la promozione della lettura debba essere considerata un atto educativo tanto naturale quanto necessario.
E penso per l’appunto che sia giunto il momento del fare. Ricominciare quindi dalle scuole, nelle qualigli insegnanti di lettere e gli scrittori possono e devono “trovarsi”, ben al di là di ciò che offrono o prevedono i programmi ministeriali, e incontrare i ragazzi per rivolgersi finalmente e direttamente a loro, ma non facendo mille discorsi astratti o voli pindarici sull’importanza della letteratura, ma più semplicemente leggendo loro ad alta voce brani selezionati, e poi facendoli leggere di più e meglio (in maniera mirata) e infine perché no, invitandoli a produrre a loro volta testi creativi con la collaborazione di un docente o di uno scrittore.
Molti ragazzi hanno una concezione dei libri e della letteratura come qualcosa di vecchio, polveroso, lontano e altro da sé. Nostro compito è quello di riavvicinarli alla lettura proponendogli esperienze vive, dimostrando che le belle storie, anche quando hanno secoli e secoli, ci parlano direttamente, così come è necessario (e ahimè, non sono molti i docenti che lo comprendono) proporne loro di nuove,romanzi veramente contemporanei, nell’ottica di una letteratura vitale e dinamica che faccia conoscere nuovi autori, narrazioni originali, voci controcorrente, generi reinventati, punti di vista legati al mondo d’oggi.
A tale proposito Nick Hornby dice che il modo più rapido che gli insegnanti hanno per ammazzare i classici, è quello di inculcare nella testa dei ragazzi che esistono solo quelli.
Per questo è nato il progetto Scuola Twain e per questo, nell’attesa che dal prossimo anno scolastico esso venga esteso a tutto il territorio nazionale con tanto di coordinatori regionali (nei primi mesi del 2013 l’ufficialità), già in questi giorni decine di scrittori, docenti, ma soprattutto centinaia di studenti del triveneto stanno godendo insieme di questa esperienza, imparando il piacere di leggere e di scrivere esprimendosi creativamente e scoprendo che nei buoni libri ci sono tutti i nostri sogni, le nostre esperienze, le nostre vite. Scoprendo che nei buoni libri ci siamo noi nel nostro mondo e che spesso grazie ad essi riusciamo a dare un nome alle nostre emozioni.
Tutto questo in nome della letteratura, del confronto di idee, del rispetto reciproco e, permettetemi di aggiungere, del divertimento e della libertà. Perché la letteratura è soprattutto questo: un atto di libertà e di liberazione culturale. E la cultura è tale solo se è rivolta a tutti.